In Italia la coltivazione della canapa venne vietata per la prima volta nel 1975 con la “legge Cossiga” (Legge n. 685 del 22 dicembre 1975, “Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope”), con cui, di fatto, la canapa quasi sparì dal territorio nazionale.
Tra gli anni ’40 e ’50 del Novecento l’Italia era uno dei paesi al vertice nella produzione di canapa. Secondo Coldiretti a quei tempi in Italia erano ben 100.000 gli ettari coltivati a canapa, un dato che collocava il nostro paese al secondo posto al mondo, dopo le sterminate coltivazioni dell’Unione Sovietica. Ciò che successe dopo – un improvviso declino dell’uso della canapa – è da imputarsi a due ragioni.
Negli anni dell’industrializzazione e della ripresa economica, fenomeni portanti della fase storica italiana denominata “boom economico”, vennero introdotte sul mercato nuove fibre sintetiche come, per citare la più celebre, il nylon. I nuovi materiali si imposero neanche troppo gradualmente nelle filiere produttive, facendo sì che la canapa venisse abbandonata.
Un altro fattore di cui tenere conto per capire il declino della produzione di canapa è derivato dalla campagna internazionale contro gli stupefacenti che ha intaccato la “reputazione” della pianta. Nel 1961 anche l’Italia sottoscrisse la “Convenzione Unica sulle Sostanze Stupefacenti” (aggiornata nel 1971 e nel 1988) che aveva tra gli obiettivi l’eliminazione della canapa entro 25 anni.